Il termine mutismo elettivo fu coniato nel 1934 da Tramer per descrivere un preciso aspetto di alcuni bambini che utilizzano il linguaggio esclusivamente nello stretto ambito familiare. Questo termine è ancora usato ma è generalmente sostituito da “mutismo selettivo”. Wilkins (1985) ha distinto il mutismo elettivo persistente, molto raro, dal mutismo elettivo transitorio, più frequente, collegato spesso all’ingresso nella scuola materna. In entrambi i casi l’autore inquadra il mutismo nell’ambito dei disturbi emotivi in bambini con personalità nevrotica, rilevando spesso la presenza di una costellazione familiare disturbata, in particolare nell’aspetto del rapporto madre-bambino.

Lesser-Katz (1988) fa risalire il mutismo elettivo alla fissazione o regressione allo stadio evolutivo precoce della “paura dell’estraneo”. La reazione all’estraneo viene espressa con “un rifiuto continuo a parlare in tutte le situazioni sociali compresa la scuola nonostante la capacità di comprendere il linguaggio parlato e di parlare”.

Nell’ambito della ricerca psicoanalitica, cfr. Bovet Chagas et al. (1985), il mutismo elettivo è visto come una negazione della separazione, una manovra difensiva primitiva e massiccia che si oppone al processo maturativo che va verso la separazione-individuazione.