Lo scorso anno scolastico ho lavorato come insegnante di sostegno in una scuola media, e ho seguito per diciotto ore settimanali tre allievi, due bambini e una bambina, con cui da subito ho instaurato un rapporto molto stretto e didatticamente proficuo.

La diagnosi funzionale di Elena, 11 anni, parla di Mutismo Elettivo (F 94.0), disturbo delle abilità scolastiche (F 81.3), livello intellettivo limite “Borderline”. Le conseguenze funzionali sono gravi difficoltà di relazione e comunicazione con i coetanei e con gli adulti.

All’inizio dell’anno, la psicologa ha presentato il caso al consiglio di classe spiegando che la bambina in diverse situazioni non parla e si chiude a qualsiasi contatto con l’esterno; Elena è stata descritta “bella come una bambola”, fragilissima, alla quale si deve parlare senza mai pretendere una risposta.

Inizialmente Elena, a scuola, non parlava con nessuno, era in disparte, teneva la testa bassa, stava molto vicina al suo banco e osservava ogni movimento attorno a lei. Nel corso dell’anno ha manifestato la volontà di cambiare, di superare la paura degli altri, così si è confidata prima con alcune insegnanti e poi ha stretto un forte legame con l’insegnante di sostegno. Lentamente Elena ha cominciato a parlare tenendo il tono delle voce molto basso, manifestando forte ansia e timore. Guidata, ha cominciato ad intervenire durante le lezioni, i compagni, che la conoscono dalle elementari, hanno apprezzato questo cambiamento e hanno cominciato a coinvolgerla nel gruppo. Elena ha scelto di parlare con alcuni di loro e con gli insegnanti.

Alla fine dell’anno, con le sue forze, ha compiuto progressi enormi, ha acquisito sicurezza e ha affrontato il lavoro scolastico con impegno, ottenendo risultati positivi.

Lavorando con Elena, ho potuto osservare molti dei suoi atteggiamenti e comportamenti, spesso ripetitivi in determinate situazioni all’interno dell’aula o durante la ricreazione.

Consultando i materiali raccolti ho ritrovato nelle descrizioni del soggetto con mutismo selettivo, molte caratteristiche che avevo riscontrato in Elena.

Osservando Elena quando non parla, ho notato, che spesso in contrapposizione alla difficoltà di parlare si evidenzia una forte volontà di comunicare, soprattutto utilizzando il linguaggio non verbale, i cenni, l’espressione del volto e a volte la scrittura.

In altre occasioni di mutismo, Elena alza una barriera con il mondo e non solo “non parla” si rifiuta di comunicare, fissa lo sguardo nel vuoto, gira leggermente la testa, e aspetta che il suo interlocutore vada via.

Elena, già alla scuola materna e poi elementare, evidenziava le caratteristiche del MS, infatti, mentre in casa con i genitori parlava e in genere comunicava, all’asilo e a scuola non parlava con nessuno.

Il papà di Elena mi ha raccontato che né la famiglia né gli insegnanti, si erano resi conto del disturbo della bambina.

I genitori pensavano che la loro bimba fosse semplicemente molto timida, dato che a casa con loro aveva manifestato il timore di parlare solo in rarissime situazioni, cioè quando il papà arrabbiato alzava la voce per sgridare lei o il fratello (come sicuramente accade a qualsiasi bambino).

Il mutismo selettivo è stato diagnosticato solo in terza elementare quando Elena aveva circa otto anni, in seguito ad un evento “oscuro” legato ad una maschera di strega che l’ha molto spaventata. Le maestre, che erano abituate ad una bambina tanto timida, hanno notato qualcosa di strano e hanno messo in moto i servizi sociali, che pur agendo in buona fede, hanno peggiorato la situazione allontanando la bambina dalla famiglia, creandole così un grosso trauma.

Verso il mese di novembre (quando Elena aveva già iniziato a parlarmi), durante l’ora d’antologia, dopo la lettura della fiaba di Hansel e Gretel, in un gioco di gruppo ogni alunno ha descritto su un foglio le sue paure; Elena, non ha voluto scrivere e mi ha raccontato che quando era piccola qualcuno l’ha portata lontano dalla sua famiglia; mentre raccontava la sua avventura “drammatica” era molto agitata, aveva la voce bassa e le mani tremanti, il volto era molto rosso e gli occhi lucidi. Quando ha finito di raccontare ha subito alzato la mano e l’ha raccontato a tutti i compagni sotto lo sguardo stupito di tutti. Ha raccontato il fatto parlando velocemente, e poi “forse” pensando di non essere stata chiara lo ha subito ripetuto per due volte.

In seguito ho raccontato al padre ciò che era accaduto, lui era sorpreso e contento perché la figlia era riuscita a raccontato quest’evento che le aveva procurato tante paure.

Da quel momento Elena ha cominciato a parlare più spesso, i compagni, un po’ incuriositi, hanno cominciato a coinvolgerla positivamente. Elena, in seguito, mi ha raccontato più volte delle sue paure: il buio, “la maschera maledetta”, gli adulti, le psicologhe. Con grande sforzo e fatica ha espresso il desiderio e la voglia di far “sparire” tutte le paure. Giocando, recitando, scrivendo, in diversi modi ho cercato d’aiutarla a buttare via anche “fisicamente” le sue paure. Disegnava o scriveva su dei fogli la sue paure, poi prendeva i fogli e li accartocciava o lo tagliava e li rompeva in tanti pezzi. Nel periodo di carnevale le ho regalato una maschera di strega simile a quella che l’aveva spaventata moltissimo, inizialmente non voleva toccarla, ma piano, piano, ha cominciato a tirarla, tagliarla, scriverci sopra, lanciarla contro il muro “urlando”.

Nel corso dell’anno ho potuto osservare che le variabili, che caratterizzano la selettività di Elena, nella comunicazione verbale, dipendono dalle situazioni in cui si trova, dall’interlocutore e soprattutto dal modo in cui questo si pone.

In classe durante l’attività, ad una domanda diretta fatta con un tono di voce alto, anche se non aggressivo (es.: “Un numero è pari quando si può dividere per…?”), Elena pur conoscendo la risposta non risponde, neanche con un cenno fatto con le dita; se invece durante l’attività, i compagni intervengono liberamente ad una discussione guidata (per dare un parere personale su un argomento) allora anche lei alza la mano e interviene.

Alla fine dell’anno, nonostante permangano ancora molte incertezze, Elena ha compiuto passi da gigante, ha stretto amicizia con delle compagne che le fanno da tutori, e con le quali si trova anche fuori dalla scuola per giocare ed eseguire i compiti. Dopo il mese d’aprile, con l’arrivo del caldo, i compagni di Elena durante l’intervallo giocavano tutti assieme, mentre lei restava in disparte in un angolo. I compagni la chiamavano la tiravano, ma lei non partecipava perché si vergognava. Durante l’intervallo ho cominciato a giocare con loro, dato che Elena mi stava sempre vicina, si è vista quasi “costretta” a partecipare al gioco.

Col tempo, quando la sua partecipazione al gioco è diventata spontanea, io ho cominciato ad allontanarmi lasciandola sola con i compagni, così alla fine dell’anno scolastico durante la ricreazione gioca, in modo spontaneo, con tutti i compagni.

Il lavoro che ho svolto come docente di sostegno, mi ha permesso di capire quanto i problemi legati dell’ansia, in un bambino, possano influenzare negativamente non solo il suo rendimento scolastico ma anche il suo diritto di serenità.

Un bambino che non parla, non socializza, non gioca, è come se non fosse bambino. L’ansia che è nel cuore di una bambina come Elena è qualcosa che probabilmente le resterà per tutta la vita. Il senso d’insicurezza, la paura degli altri, il timore di non farcela ad affrontare certe situazioni, sono sensazioni che spaventano e mettono a disagio noi adulti, figuriamoci un bambino…

Avere davanti questa bellissima bambina, con lo sguardo profondo ma fisso nel vuoto, parlarle dolcemente osservando la sua totale assenza, era una cosa che mi procurava angoscia.

Nella mia mente risuonava solo la parola perché?

Nel corso dell’anno si sono succeduti una serie d’avvenimenti positivi, così prima una parola poi due, una frase e via.

Alla fine dell’anno osservo quella bellissima bambina che gioca scherza e parla con i compagni. Ha superato alcune paure e si è sentita forte, e più si sente forte più paure supera.